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Lo spot sui pannolini Huggies: com’è andata a finire

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Huggies

A proposito del caso Huggies di cui abbiamo parlato un paio di settimane fa, riprendo le considerazioni che Massimo Guastini, presidente dell’Art Directors Club Italiano, ha fatto sull’ingiunzione Iap che ne intima la sospensione:

«L’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) non ritiene “corretta informazione” lo spot “bimbo bimba” dei pannolini Huggies, in quanto vìola due articoli del codice di autodisciplina (10 e 11). Giulia Siviero ha parlato di “piccola vittoria”. Secondo me è un segnale indicatore molto importante, soprattutto per le motivazioni, indicate nel sito IAP. Ne riprendo e commento una parte:

“Ad avviso del Comitato di Controllo, considerate anche le numerose segnalazioni ricevute, una tale narrazione è suscettibile di porsi in contrasto con l’articolo 10 del Codice, laddove prevede il divieto di “ogni forma di discriminazione, compresa quella di genere”. È noto che a diversi livelli si è sviluppata nella società civile una massa critica, che mira a sollecitare una maggiore consapevolezza sui temi della dignità della persona e del rispetto dell’identità di genere. Non è certamente la proposizione di un modello convenzionale o ricorrente di per sé ad essere invisa, ma la banalizzazione della complessità umana, quando il modello viene vissuto con una carica deterministica, restrittiva e pertanto degradante, quasi che necessariamente la donna debba essere “bella, madre e preda” e l’uomo “goleador, cacciatore e avventuroso”. Simili comunicazioni, anche aldilà delle intenzioni, veicolano contenuti che cristallizzano modelli non sentiti più attuali e comunque rigidamente restrittivi, che come tali sono suscettibili di urtare la sensibilità del pubblico, in quanto rappresentano ostacoli per una società moderna e paritaria.”

La parte dell’ingiunzione IAP da me evidenziata in bold chiarisce cosa renda questo spot in contrasto con l’articolo 10 (divieto di ogni forma di discriminazione): benché gli ultimi 30 anni di televisione (e “l’agiografia” stessa di un ex premier) abbiano cercato di convincerci che l’uomo è calciatore e la donna “bella, madre e preda”, c’è una parte della popolazione, non più trascurabile, che rifiuta questi stereotipi, non trovandoli “attuali e comunque rigidamente restrittivi”. Li rifiuta reputandoli una forma di discriminazione: “si è sviluppata nella società civile una massa critica, che mira a sollecitare una maggiore consapevolezza sui temi della dignità della persona e del rispetto dell’identità di genere”.

Siamo forse finalmente arrivati a un giro di boa. Ma trent’anni non si cancellano con un’ ingiunzione dello IAP. E quanto sia difficile il percorso di normalizzazione del nostro Paese ve lo posso testimoniare condividendo i commenti rilasciati da alcuni professionisti della comunicazione.

Se chiedete ad una bambina di 4 anni cosa farà da grande vi risponderà la ballerina, un bambino il calciatore. Nel 2015. Fine.” Questa frase non l’ha detta un pensionato al bar. Ma un professionista che fa il mio stesso lavoro (copywriter).

Un altro mio collega, colto, commenta così l’ingiunzione: “quindi dovremmo dire a molti milioni di italiani che le loro convinzioni ledono la dignità della persone. e dovremmo procedere di conseguenza alla chiusura di decine di migliaia di scuole di ballo e di scuole calcio, neanche fossero postriboli e sale scommesse clandestine

In realtà l’ingiunzione dello IAP ci sta semplicemente dicendo che si è sviluppata nella società civile una massa critica che trova riduttiva e degradante questa continua e massiccia semplificazione delle aspirazioni umane. Non si tratta di chiudere né le scuole calcio, né quelle di danza. Si tratta di spiegare cosa vendiamo senza alimentare inutili, non pertinenti e dannosi pregiudizi. Se vendi un pannolino che tiene conto delle indubitabili differenze anatomiche perché devi tirare in ballo le indimostrabili aspirazioni che possono avere due infanti?

Un altro “collega”, art director prova a sostenere (caustico): “Vittoria. Ora anche le bambine potranno pisciare in piedi.  tutti alla pari”. (E prosegue, anatomico, con pudore): “Ora, non vorrei essere uno “schifoso”… ma sfiderei in privato uomini e donne a dimostrarmi che abbiamo perdite nello stesso punto. Cercate di interpretare naturalmente quello che ho scritto. ma mi sembra ovvio. Donne sotto, noi davanti, da che mondo è mondo.”

No, mio candido art director, continua a mingere serenamente in piedi. Qui si parla di altro. Si parla di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese“. I pregiudizi alimentati dai media rappresentano un ostacolo di ordine sociale alla libertà e al pieno sviluppo della persona umana. La nostra stessa Costituzione ci esorta a rimuovere simili ostacoli.

Non sono nemmeno mancate le accuse di censura: “un atteggiamento censorio che ormai colpisce a cazzo. Ma, quant’è peggio, taluni, come il Presidente dell’ADCI (cioè io – ndr), pensano di potersi ergere a giudici del giusto e dello sbagliato, convinti di essere strumenti di cambiamento e miglioramento della società. Ridicolo e penoso. Si occupassero umilmente di agevolare la nostra attività invece di auto proclamarsi custodi dell’etica”.

In realtà, sino a quando noi pubblicitari produrremo questo tipo di comunicazione, sarà impossibile “agevolare la nostra attività”.  Ci auto fregiamo dell’etichetta “creativi”. Siamo per molti solo degli “inquinatori cognitivi”. Il nostro silenzio e  la nostra connivenza danno ragione a chi, come Bruno Ballardini scrive, nell’articolo sul Fatto: “oggi non ci sono più pubblicitari in grado di contrastare i dictat del cliente con argomenti ragionevoli. E, ovviamente, le agenzie accettano tutto pur di tenere un cliente che, in tempi di magra, è già una fortuna avere. Col risultato che in tv esce roba del genere.

A questo punto mi devo forse chiedere: sono davvero  “dictat” del cliente? A mio parere “Pubblicità” e “Marketing” non dovrebbero indicare professioni in mano a persone moralmente poco raccomandabili. Di pubblicità e marketing si occupa il team (cliente e agenzia) che ha prodotto #like a girl. Di pubblicità e marketing si occupa il team che ha prodotto “real beauty“. Due creativi italiani, Luca Lorenzini e Luca Pannese, in USA hanno appena realizzato questo spot, proprio per dei PANNOLINI (Pampers). Cito tre lavori usciti all’estero. Perché è quanto mai complesso trovare esempi virtuosi italiani, ugualmente rilevanti.

Sembrerebbe che l’utente italiano sia ritenuto mediamente più primitivo dai nostri “esperti” locali. Sarà vero? L’ingiunzione IAP ci racconta altro. È una buona notizia, da qualunque punto di vista la si osservi.» Massimo Guastini


Archiviato in:media, pubblicità commerciale Tagged: Huggies, IAP, Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, Massimo Guastini, pubblicità commerciale, spot

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